giovedì 27 novembre 2014

Gotico Rurale!

L’immagine che molti, stranieri e non, hanno dell’Italia, è quella di un paese solare, dove venire d’estate per rilassarsi sulle spiagge, un luogo dove si mangia bene, pieno di gente ospitale e calorosa eccetera eccetera, magari con qualche stramberia come le feste regionali e il carnevale, ma niente di molto inquietante.
Pare però che gli inglesi non la pensassero così su di noi quando, secoli fa, entrarono in contatto con l’opera massima di Machiavelli, Il Principe.
Il mondo anglosassone si fece l’idea degli italiani come di un popolo di bastardi, freddi ,calcolatori, assolutamente immorali e crudeli, gente da cui stare alla larga insomma. Ambientarono molte delle loro opere gotiche nel nostro paese, la più celebre di queste è di sicuro Il Castello di Otranto, di Horace Walpole.

Il “bel paese”, come ormai abbiamo avuto modo di renderci conto, è un posto contraddittorio.
La Romagna ne è un esempio piuttosto lampante, abbiamo la riviera, zeppa di bei locali, discoteche, spiagge e ristoranti. Basta allontanarsi un poco, però, per trovare a nord gli acquitrini paludosi e pieni di zanzare del delta del Po, in cui non sembrerebbe fuori luogo un alligatore americano. Oppure ci si può spingere all’interno della regione, per trovare prima la campagna in cui i paesi si alternano a distese di campi  costellati da vecchi ruderi con chissà quali storie alle spalle, le colline e infine gli appennini, che nascondono villaggi antichi e suggestivi , castelli infestati e valli nebbiose, i luoghi in cui si svolgono i racconti di Gotico Rurale, di Eraldo Baldini.



La forza dei racconti di Gotico Rurale sta proprio in questo voltafaccia, su un lato della cultura italiana spesso trascurato, forse perché poco rassicurante, eppure che ne è parte integrale e intima, il folklore.

L’antico immaginario di spiriti delle paludi, alberi stregati, riti ancestrali, che si scontra col mondo moderno, non sempre in modo violento, a volte riesce anche a conviverci creando curiose situazioni ibride.

In molti dei racconti l’orrore si unisce alla violenza del vecchio mondo contadino, incontriamo famiglie disastrate che scivolano verso l’orrido in maniera inesorabile, la crudeltà innata e genuina dei bambini, che in alcuni racconti sono dei veri piccoli mostri.
I bambini ovviamente non hanno solo tratti negativi, dato che spesso davanti al soprannaturale si dimostrano più “aperti” degli adulti.
 Questa loro elasticità di pensiero, ancora da plasmare e non legato in maniera ossessiva alla ricerca del razionale come quello degli adulti, li rende davvero realistici e interessanti, fa ricordare di quando, da piccoli non era difficile immaginare un mostro che si nascondeva nell’oscurità, che la notte del sei gennaio arrivava la befana e ci si rintanava nel letto dalla paura, perché quella vecchia era così reale allora!

Un altro tema interessante di alcuni racconti è la rappresentazione delle credenze contadine, strani riti dal sapore pagano che si confondono con il culto dei santi, esseri quasi mitologici come lo spirito del grano
,oltre ad un inquietantissimo carnevale la cui atmosfera mi ha ricordato il New England descritto da Lovecraft.
 I racconti però non sono solo di matrice Horror, alcuni si avvicinano ad uno stile grottesco.
Il migliore di questi, a mio parere, è “In fila per due”,  che ha avuto il singolare merito di disgustarmi e farmi sorridere al tempo stesso.
"Si dice che lo Spirito del Grano giri nei campi a mezzogiorno e a mezzanotte, e i mietitori urlano per allontanarlo, per difendersene.


I racconti sono semplici nella struttura, non ci sono intrecci complessi o difficili da seguire, si svolgono quasi tutti in modo piuttosto rapido, senza perdere un briciolo di terrore e meraviglia per la strada.

I racconti di Gotico Rurale portano a ricordare sensazioni e suggestioni, che avevo dimenticato.
 Il pensiero che hanno i bambini del mondo che li circonda, non contenuto in schemi fissi e definiti, come finiamo per pensare da adulti, ma dai contorni più sfumati e dinamici.


giovedì 13 novembre 2014

#PhilosophyForDummies #01 Epicuro, un filosofo frainteso




Ed eccola qui, finalmente, la prima puntata di #PhilosophiyForDummies ,la serie teorizzata nel primo post del blog che si propone l’obbiettivo di parlare di filosofia nel modo più semplice e (si spera) interessante possibile, accompagnando la mia avventura di scoperta di autori e opere.
La nostra povera amica filosofia negli ultimi tempi è ignorata da molti.
 Posso anche capire il timore all’approcciarsi a un Nietzche o a un Hegel, che sicuramente non sono di facile comprensione per tutti, ma esistono anche filosofi antichi incredibilmente interessanti e comprensibili a chiunque (si fa per dire), che attendono (quasi) dimenticati nelle librerie polverose qualcuno che gli dia l’ascolto che meritano.
Il faccione del nostro amico Epicuro

E così, quest’estate, girovagando di sera in una di quelle librerie stagionali lungo la riviera romagnola, ho trovato, stretto tra un “saggio” su come predire il futuro nei fondi di caffè e un interessantissimo libro di Brosio, questo volumetto “Epicuro, la felicità” a cura di Antonangelo Liori, un libro di poco più di un centinaio di pagine in cui sono raccolte Le Massime, la Lettera a Meneceo, le Sentenze Vaticane, i Frammenti e il Testamento.
Ho salvato Epicuro dalla brutta compagnia in cui era invischiato pagando il suo riscatto di pochi euro.
Dico subito che al tempo credevo Epicuro una specie di pappone dell’antica Grecia, un edonista alla ricerca dei piaceri, di ogni piacere.
 Un ingordo, un puttaniere, un ubriacone che “viveva la vita fino in fondo” fregandosene di ogni conseguenza.
C’è da dire in mia difesa che tutto ciò che avevo sentito sul suo conto era che provasse un grande amore per il piacere, e che secondo lui “Il piacere è la meta a cui si deve rivolgere ogni uomo” .
Quante stronzate, eh? Eppure in molti la pensano pressappoco in questo modo sul filosofo di Samo, questo perché abbiamo una concezione di “piacere” che non potrebbe essere più diversa dalla sua.
Per Epicuro il piacere non è il semplice appagamento di esigenze fisiche, ma la risposta a quesiti morali, quesiti che in un epoca in cui va di moda la vuota chiacchera, non hanno più l’importanza che serve.
Il piacere si raggiunge per Epicuro con l’atarassia, la mancanza di turbamento e di dolore, che porta all’animo uno stato di tranquilla imperturbabilità.
Epicuro ha una gran bella concezione della vita, la considera il bene assoluto, quindi va preservata dal dolore che è il male.
 Questo suo amore per la vita l’ho trovato particolare, diciamo che non ho sentito molte volte un filosofo entusiasta della vita come lui, sicuramente Epicuro non sarebbe stato d’accordo con un tipo come Leopardi, poco ma sicuro.
Ovviamente un estimatore convinto della vita come lui non può non odiare chi compie suicidio
“Uomo meschino è colui il quale trova molte ragioni valide per togliersi la vita”

Gli uomini giusti quindi devono evitare ogni forma di dolore, allontanarsi dalla prigione della politica e degli affari, dalla schiavitù verso le proprie ricchezze e raggiungere l’autosufficienza , la libertà.
Anche il desiderio del piacere può essere dannoso, i desideri naturali e necessari , come mangiare o bere per la sopravvivenza vanno distinti da quelli naturali ma non necessari , come mangiare cibi raffinati, e da quelli non naturali e non necessari, come la ricerca di potere e prestigio.
L’ultima tipologia in particolare è da scartare ed evitare come la peste.

Si potrebbe pensare che un uomo che stima così tanto la vita e il piacere possa avere un terrore folle della morte, del momento in cui tutto viene sottratto e non si può più provare nessun tipo di piacere.
Eppure anche qui Epicuro ci stupisce.

“La morte non è nulla per noi.  Ciò che si dissolve non ha sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è nulla per noi”

Insomma nemmeno la morte, come la vita, è da temere. Bello no?



giovedì 6 novembre 2014

Il mio primo Liebster Award, gioia e tripudio!



Allora, pare che abbia vinto un premio! Si chiama Liebster  Award e me l’ha assegnato Carta traccia, che ringrazio molto J
Ok, in realtà non è proprio un premio nel senso più stretto del termine, è un meme rivolto ai blog al di sotto dei 200 follower.
Le regole son queste:
·         Si posta l’immagine del premio sul blog (fatto…)
·         Si linka il blog di chi ti ha nominato (vedi sopra)
·         Si raccontano 11 cose su di se
·         Si nominano 11 Blog ritenuti meritevoli del premio
·         Si risponde alle domande fatte da chi ti ha nominato e se ne fanno altrettante ai nominati
Cominciamo con le undici incresciose cose su di me.
1.       Guidare non mi piace per niente, anche se ritengo di essere bravo.
2.       Sogno da mesi di ritirarmi, una volta finite le superiori (quindi estate 2015), in un luogo sperduto e staccare dal mondo civilizzato per qualche tempo.
3.       Quando lessi Moby Dick mi venne voglia di imbarcarmi su una nave da crociera e lavorarci per un anno intero viaggiando negli oceani. Forse lo farò, un giorno.
4.       Cambio idea in modo repentino e mi faccio condizionare parecchio in base a ciò che leggo (vedi punto 3)
5.       Del punto 4 risentono anche le ambientazioni e lo stile di scrittura dei miei racconti.
6.       A volte rimango così deluso da ciò che vedo su internet da aver bisogno di qualche giorno di disintossicazione.
7.       Ho il brevetto di assistente bagnanti, in pratica sono un bagnino di salvataggio.
8.       Mi piace stare da solo per giorni interi e non ne soffro per niente.
9.       Ci metto sempre un sacco di tempo a scrivere i post del blog.
10.   Ho una cartellina piena di racconti non finiti
11.   Alle medie volevo diventare mangaka e vivere in Giappone.

Ora nominerò alcuni blog che seguo e apprezzo, anche se non saranno 11 perché purtroppo sono “nuovo” del settore e ne conosco relativamente pochi.

Il compagno di merende Filippo Flegias

Ora rispondo alle domande…
1 Uno (o più) autori simili a te, per temi e stile? (senza modestia, non parliamo di bravura)
Per il mio ultimo racconto, Sodoma, e per il continuo che sto scrivendo mi ispiro alle atmosfere della saga della torre nera di Stephen King.
Ultimamente ho scoperto l’autore Eraldo Baldini leggendo Gotico Rurale, sono rimasto colpito dallo stile semplice e dalle tematiche horror che si fondono con la quotidianità in modo molto interessante. Credo che prenderò spunto da lui per le prossime storie, tornerò alle origini in un certo senso.
2 Cosa pensi dei concorsi letterari?
Non ho mai partecipato a un concorso letterario, ma appena ne troverò uno interessante lo farò, anche solo per mettermi un po’ alla prova
3 Qual è il tuo libro preferito?
Negli ultimi giorni ho letto 1984, mi ha davvero sconvolto come mai nessuna lettura ha mai fatto, quindi credo sia il mio libro preferito.
4 Cosa pensi delle trilogie, o delle serie di libri?
La mia forma narrativa preferita è il racconto, perché è più probabile che finisca prima di stufare il lettore, quindi una serie di libri deve essere davvero avvincente per conquistarmi. L’ultima serie che ho letto è stata “Il trono di spade” e ho letto tutti i libri solo per seguire le avventure di Jon Snow, degli altri personaggi non mi interessava molto.
5 Hai altre passioni, oltre la scrittura?
Mi piace molto disegnare, soprattutto corpi umani in varie posizioni (non pensate male!).
Mi piace anche andare in giro in collina e nei boschi, un’altra mia “passione” è Youtube, sono interessato alla filosofia e alla storia, poi mi piacciono molto anche l’esoterismo, il mistero, il folklore e la criptozoologia , ma mi ci sono avvicinato da poco.
6 Quanto influiscono il tuo luogo di nascita e alla tua generazione, sui temi e sullo stile della tua scrittura?
Sono poco conscio dell’influenza di questi aspetti sul mio pensiero, sto imparando a scoprirla solo adesso.
7 Fantastichiamo! Che attore sceglieresti per impersonare un tuo protagonista, o un personaggio da te creato?
Non conosco molti attori, ma credo che un Klint Eastwood ci starebbe benissimo nei panni di un angelo del mondo di Sodoma, freddo, impassibile e letale.
8 Cosa ti spinge a scrivere?
Non lo so, mi è sempre piaciuto inventare storie, anche se la scrittura è una scoperta abbastanza recente. Mi diverto semplicemente a trascrivere queste storie su carta, immedesimarmi nei personaggi  e immergermi mentalmente nelle atmosfere che creo, non mi importa neanche tanto che qualcuno le legga, se piacciono a me basta e avanza.
9 Cosa pensi degli ebook?
Mi piacciono perché costano poco e sono l’unico modo degli scrittori non professionisti per far circolare il loro lavoro, ma lo ammetto, il cartaceo è tutta un’altra cosa.
10 Riassumi la trama del tuo ultimo lavoro in  una frase!
Lot deve tirare fuori sua moglie Raqel dallo stomaco di Behemot
11 Cosa pensano amici e parenti della tua attività di scrittore?
I miei amici leggono i miei racconti, mi danno consigli e fanno critiche. Coi miei genitori discuto sulla trama dei racconti. C’è un bel rapporto costruttivo insomma.

Queste sono le mie domande, rispondete se vi va.

1.       Se avessi la possibilità di andare a vivere in un’età storica diversa da questa quale sceglieresti? Perché?
2.       Qual è la cosa che odi più di tutte?
3.       Qual è la cosa che ti fa più paura?
4.       C’è uno stato estero in cui ti piacerebbe vivere?
5.       C’è uno scrittore o un libro che ha cambiato il tuo modo di vedere la letteratura?
6.       Qual è il tuo genere letterario preferito?
7.       Che rapporto hai con la tua terra d’origine?
8.       Qual è il tuo piatto preferito?
9.       Che rapporto hai con la politica?
10.   Qual è il tuo quadro preferito?
11.   Quanto sei intelligente da 1 a 10?




sabato 1 novembre 2014

Critica al sistema scolastico [1] La poesia

Avete presente la scena di “L’attimo fuggente” in cui Robin Williams strappa l’introduzione al libro di testo di letteratura inglese? No? Va be’, rimedio io.


Parliamone.
Al di la del gesto, che può essere considerato giusto o meno, l’insegnante ha un potere importante da cui deriva una grande responsabilità, dato che le menti degli alunni sono (in parte) nelle sue mani.
 La scena è una potente critica all’immobilità delle scuole, all’impossibilità di rinnovamento che finisce per renderle arrugginite e inadeguate.
Non solo questo però, la critica maggiore è rivolta al modo in cui sono trattati la poesia e il verso nelle scuole.
Ok, ma cosa c’entra l’insegnamento della poesia in un istituto privato americano degli anni ‘50, dove non si fa altro che rendere gli alunni macchine produttive di prima scelta, con la scuola italiana moderna? Sicuramente sono realtà diverse.
Non così tanto in realtà, ed è proprio questa la forza della scena, no?
Il sistema è simile sotto molti aspetti, almeno al liceo scientifico, l’ambito che mi compete.
Prendi dei ragazzini, imbottiscili di tante, tante nozioni e pochi insegnamenti, poi spediscili in un’università e vedi che succede.
E questo è ammissibile per quanto riguarda le materie scientifiche, fondate su nozioni e leggi da imparare e impiegare nella risoluzione degli esercizi.
 Come la mettiamo con le materie letterarie, si può fare lo stesso?
No, a meno di non renderle pura nozione sterile e, purtroppo per tutti, inutile.
Prendiamo la poesia per esempio, studiata e analizzata minimizzando al massimo la potenza emozionale, la si sopprime, la si (permettetemi) stupra!
Cosa [Cazzo] mi serve sapere cos’è una sinestesia se non ho provato ciò che il poeta vuole comunicarmi?
Quello della scuola è un modo di trattare la poesia assolutamente ridicolo, stupido, gretto e gravido di conseguenze.
Gravido di conseguenze perché porta la gente a non approcciarvisi più una volta usciti dalle scuole, si ricorderanno la loro impotenza ai paroloni incompresi, la loro inadeguatezza.
Perché dovrebbero tornare a quelle cose così noiose, che non hanno mai donato i sentimenti promessi?
Si sentiranno truffati, non compreranno mai libri, non avranno più voglia di emozionarsi, di colorare le loro vite con i versi.
Tutto questo a causa del sistema scolastico, della mentalità pragmatica che domina la nostra società, che ci incoraggia a produrre, far carriera, diventare importanti e soprattutto fare i $ordi!

I $ordi!


Emozionarsi non produce e non paga, meglio evitarlo no?

martedì 28 ottobre 2014

L'inferno di Treblinka, un libro terribile

E’ il 1944 quando il corrispondente di guerra russo Vasilij Brossman scrive “L’inferno di Treblinka”, il frutto dell’unione di decine di testimonianze  che raccontano di quanto di più agghiacciante avvenisse tra le mura del piccolo campo di sterminio che sorse nei pressi della sperduta stazione di Treblinka, nella Polonia più selvaggia e inaccessibile, e che secondo le intenzioni di chi lo costruì sarebbe dovuto rimanere un segreto, per sempre .

“ Nel suo inferno Dante non le vide, scene come queste”

L’inferno di Treblinka è un libretto di un’ottantina di pagine, ma racchiude così tanto marciume, follia e scene insane che mi ci è voluta una settimana per finirlo, dopo una quindicina di pagine non avevo più voglia di andare avanti e lo abbandonavo per un po’ senza nessuna voglia di riprenderlo in mano.

Questo non perché sia noioso, intendiamoci,  Grossman prende per mano il lettore e lo scaraventa nel cuore del delirio nazista in poche pagine, descrivendo con minuzia di particolari ogni aspetto della produzione della macchina di morte, anche se dedica un’attenzione particolare al tratteggio dei carcerieri e le loro personalità che definire malate sarebbe troppo poco.

“Tutti questi esseri non avevano nulla di umano. Cervello, cuore e anima, parole, gesti e abitudini erano deformati, un’orrenda caricatura che ricordava a stento tratti, pensieri, sentimenti, abitudini e gesti umani”

A Treblinka infatti si trovavano alcuni tra gli elementi più spostati e sadici dell’esercito tedesco, difficile dire se fossero impazziti proprio a causa di ciò che vi vedevano ogni giorno o fossero stati mandati la apposta per le loro qualità. C’era chi veniva preso da risa incontrollabili ogni volta che vedeva un essere umano morire, chi riusciva ad uccidere una decina di bambini in pochi minuti con un martello, chi si appostava nella discarica del lager ammazzando senza cerimonie quelli che andavano tra la spazzatura alla ricerca di cibo.

Tutte queste creature agivano per un motivo ben preciso, che a Grossman appare chiaro, questi erano atteggiamenti  “sviluppatisi nell’embrione dello sciovinismo germanico, dalla boria, dall’egoismo, dalla baldanza autocompiaciuta, dalla sollecitudine pedante, bavosa verso il proprio nido, e dalla ferrea, algida indifferenza per la sorte di qualunque essere vivente, dalla convinzione cieca e ottusa che al mondo non potesse esserci nulla di più bello e perfetto della scienza, della musica, della poesia e della lingua tedesche, dei giardinetti, dei water, del cielo, della birra e degli edifici tedeschi”

La possibilità di rinchiudere uomini e donne in vagoni merci sovraffollati raccontando loro che avrebbero lavorato, far trovare una bella stazione con una vera orchestra che li attendeva e poi condurli con calma nelle camere a gas diventava spaventosamente plausibile sotto la spinta di un nazionalismo così feroce , che in pochi anni “è cresciuto da balbettio infantile a pericolo mortale per il genere umano”.

Nel  libro viene descritta anche la marcia dei “cadaveri ancora vivi” dal treno con cui arrivano al campo fino alla morte nelle camere a gas, il progressivo annullamento della loro volontà e umanità con violenze ferocissime e apparentemente insensate, ordini che sembrano schiaffi.

 Tutto, nel libro, è tremendamente evocativo e tangibile, entriamo letteralmente nella testa e nei pensieri di quelle persone e ci chiediamo cosa riusciremmo a sopportare di tutto questo se ci trovassimo al loro posto, niente è più straziante dei tentativi di ribellione dei prigionieri senza nome, che con mezzi di fortuna  come coltelli o le armi stesse dei carcerieri cercavano di portare con se quanti più soldati SS possibile, a quel punto la morte era la più preferibile delle punizioni.

L’unico problema di Grossman è, a mio parere, il suo non essere completamente oggettivo.
Spesso mi viene il dubbio che tenda ad esaltare più del dovuto le azioni belliche russe.
Di contro le descrizioni degli ambienti resi come malati dall’influsso di Treblinka sono efficaci e rimarranno nella mente del lettore, come il bosco pieno di cadaveri semi-sepolti e imputriditi infestato da enormi mosconi o l’apparente calma dello spiazzo di terra coltivata con cui i tedeschi in fuga hanno tentato di nascondere i resti del campo, ma che cela a pochi centimetri di profondità oggetti personali delle vittime lasciati li in fretta e furia.
Il memoriale di Treblinka

Come detto sopra questo libro contiene scene più che disturbanti e molto esplicite, non leggetelo a meno di non avere lo stomaco abbastanza forte.




martedì 21 ottobre 2014

Bambino! un manga da divorare (semicit.)

Lavoro in una cucina, non esattamente una grande cucina di un ristorante, un po’ più modesta, molto più modesta ad essere sinceri.
Ultimamente ho deciso di cercare qualche manga o fumetto che parlasse di cucina, così, per  approfondire la mia visione del mondo in cui mi sono trovato a lavorare e  scoprire qualcosa di nuovo, tutto questo ovviamente cercando di divertirmi al tempo stesso.
Dopo qualche ricerca ho trovato qualcosa di veramente molto interessante, si tratta di Bambino! appunto, disegnato e scritto da Tetsuji Sekiya, un’opera di  15 volumi iniziata nel 2005 e conclusa nel 2009, che non è mai arrivata in Italia.

Le scan tradotte in italiano (con una professionalità rara tra l’altro) le trovate qui.
Bambino! è un seinen, un manga per adulti quindi, che potrebbe essere paragonato nella struttura a un romanzo di formazione, la storia infatti segue la crescita personale e lavorativa dell’ universitario giapponese Ban Shogo  all’interno del grande ristorante italiano chiamato Baccanale nel quartiere Roppongi a Tokyo

Il protagonista Ban è un tipo di personaggio abbastanza comune nel mondo dei manga, soprattutto in quelli per ragazzi, è determinato, a volte molto impulsivo nelle decisioni che prende, diretto e sincero.
Ovviamente questo non vuol dire che quello di Ban sia un personaggio banale, anzi, sono proprio queste caratteristiche che ti ci fanno affezionare e che gli permettono di resistere nel ristorante e andare avanti.
 Il percorso non sarà facile, Ban incontra grandi delusioni, viene criticato senza pietà da clienti e colleghi (e picchiato da alcuni di questi), affronta delle scelte pesanti per un ragazzo della sua età  e deve anche sostenere sfide sfibranti, tra cui un duello culinario contro la mafia italiana a New York dove rischierà anche la morte in caso di sconfitta.
Il personaggio diventa sempre più responsabile e saggio nel corso dell’opera, crescendo e affrontando nuove difficoltà.
Anche i personaggi secondari sono approfonditi e ben caratterizzati, alcuni di loro hanno alle spalle storie drammatiche non banali, che li porteranno a porsi in modo avverso o amichevole a Ban.
Il primo magico incontro con lo chef


Il Baccanale è rappresentato con grande precisione , è un ristorante vivo e pulsante, pieno zeppo di personaggi interessanti che interagiscono tra loro e che lo rendono  reale.
Viene mostrata alla perfezione la caoticità della cucina in un ristorante di successo , definita spesso come “un campo di battaglia” i cuochi gridano e insultano senza pietà  chi sbaglia, fronteggiando orde di avventori affamati, la frenesia tra i fornelli si contrappone all’apparente calma della sala, dove i camerieri si si prendono cura dei clienti sfoggiando ognuno uno stile diverso 
Ecco cosa succede se sbagli a tagliare gli asparagi
.

La qualità del disegno si mantiene  sempre alta, mi ha colpito in particolare la grande dinamicità delle vignette che rappresentano le azioni in cucina, con un grande uso delle linee cinetiche e tagli che ricordano gli shonen di combattimento.

 Bambino! ha anche la qualità, non banale, di saper far appassionare al cibo e ai sapori ,mette voglia di saperne sempre di più, inoltre è godibile da chiunque, anche da chi di cucina non sa assolutamente niente.





martedì 14 ottobre 2014

Battle Royale,di Koushun Takami

Trama
“Nella "Repubblica della Grande Asia", uno Stato totalitario geograficamente localizzato nel Giappone della realtà, vige il BR Act.
Secondo tale legge, ogni anno viene scelta tramite sorteggio una classe di terza media per partecipare al cosiddetto Programma.
Il gioco consiste in una lotta all'ultimo sangue in cui i giovani e sorpresi (perché tenuti all'oscuro di tutto, e trasportati sul posto con l'inganno) partecipanti devono impugnare l'arma, affidata loro a caso, contenuta in uno zaino e uccidersi a vicenda in un luogo scelto appositamente dal governo, precedentemente evacuato: in questa edizione si tratta di un'isola deserta e sconosciuta. Per costringerli a partecipare, tra i vari espedienti c'è un collare che fornisce al centro di controllo la posizione degli studenti e che esplode in caso di fuga o di ammutinamento.
L'obiettivo è che rimanga un solo superstite, l'unico che potrà fare ritorno a casa. Gli studenti sono 42, 21 maschi e 21 femmine.”
tratto da Wikipedia

Ho sentito parlare per la prima volta di Battle Royale ai tempi delle scuole medie, su una rivista che parlava di anime e manga in cui veniva presentato appunto il fumetto tratto dal romanzo, tra l’altro sceneggiato dall’autore stesso del libro, Koushun Takami.
Ricordo benissimo che non potei fare altro che pormi una domanda, cosa avrei fatto se mi fossi trovato in una situazione simile a quella dei protagonisti?
La risposta ovviamente era impossibile da trovare, mi piaceva discuterne con i miei amici, anche se al tempo, forse influenzati da Dragon Ball, ci sentivamo tutti invulnerabili ed eravamo  sicuri di poter superare qualcosa di simile.
Insomma, Battle Royale mi aveva colpito parecchio.
Purtroppo del manga non posso dire niente, non l’ho mai recuperato, anche se in futuro intendo farlo senza dubbio.
Un paio di buoni motivi per non farsi sfuggire il manga :3

Quello di cui voglio parlarvi è il libro da cui è stato tratto tutto, che ho apprezzato davvero tanto.
Battle Royale, che tra l’altro è il romanzo più venduto di sempre in Giappone, è uno di quei libri che ti danno un pugno allo stomaco quasi in ogni singolo capitolo.

La ragione di questo è semplice, l’empatia, ci viene raccontato attraverso pensieri e qualche “spiegone”, che in questo caso credo necessario, il passato e le ragioni che spingono ad andare avanti nel programma e a tentare di sopravvivere molti studenti e studentesse, facendoci tifare per loro per il semplice motivo che in qualche modo ci riconosciamo nelle loro paure o sentimenti.
Il punto di vista si sposta in ogni capitolo, dandoci modo di conoscere quasi ogni membro della classe, così come di assistere ad ogni morte che avviene, non ci viene risparmiato niente.
Ma com’è possibile che un ragazzino delle medie scelga di uccidere un suo coetaneo senza pietà?
 Lo spirito di sopravvivenza è forte, Homo omini lupus diceva il filosofo inglese Hobbes. L’uomo per la mera sopravvivenza  può uccidere senza pietà, se poi ci aggiungiamo un inquietante collare esplosivo e la paura folle di alcuni studenti più suscettibili, l’omicidio diventa una possibilità reale e concreta,  vedere questo processo in atto nelle menti dei ragazzi è sicuramente interessante, anche se orribile.
Non per tutti è così, ci sono anche mine vaganti come Kazuo Kiryama, una vera macchina di morte che non prova alcun sentimento e semina morte sui compagni (quasi) inermi con l'implacabile mitragliatore, Mitsuko Souma, una ragazza che seduce le vittime con la propria bellezza per poi ucciderle a tradimento quando meno se l’aspettano.
Ma nell’isola non c’è posto solo per la morte e la follia, anche l’amore ha una componente importante nella storia, l’amore puro, semplice e prepotente tipico della prima adolescenza, come quello che porta Hiroki Sugimura a percorrere un viaggio distruttivo alla ricerca della ragazza a cui non si è mai dichiarato. Probabilmente piangerete.
C’è anche chi continua ad avere fiducia, come Shuya, il protagonista, che decide di tentare una fuga che sembra impossibile con l’aiuto di Shogo Kawada e Noriko, sfidando il governo e le imposizioni categoriche che vengono dall’alto.

Ora è venuto il momento di parlare della scrittura in modo tecnico, come ho detto prima ci sono alcuni spiegoni che servono a presentare il passato di alcuni studenti per comprenderne meglio il comportamento, e qualche caso di POV ballerino, robetta insignificante ad ogni modo.
Le descrizioni dei luoghi o dei tratti fisici dei personaggi sono davvero di una precisione clinica e ben fatte.

In chiusura vi lascio quella che a mio parere è un po' la "colonna sonora" di questo libro, una canzone citata spesso dal protagonista Shuya, Born To Run di Bruce Springsteen.